LA MADRE E IL DIVINO Orientati verso la pienezza dell’amore
Tutto nell’universo è mosso dall’amore. Ogni amore è partecipazione a quell’energia trascendente. Il neonato, cercando la madre, cerca Dio, che è il bene, senza saperlo. La donna dal canto suo non sempre sa che è la tenerezza divina ad attraversarla, ad attirare a lei il bambino, e si rinchiude con lui in un amore staccato dalla sua fonte.
In Gesù, nasce nell’umano l’Amore increato. Era davvero necessaria una donna “particolare” per non presentarsi al figlio come l’unico amore. Era necessario un cuore senza ripiegamenti su se stesso, radicalmente aperto alla gratuità in ogni relazione. Maria era pervasa dall’energia divina alla quale non opponeva ostacoli, perché non tratteneva nulla per sé, nemmeno il figlio: lasciava fluire il dono perché raggiungesse attraverso di lei chi l’incontrava.
Se Dio è amore, a contatto con l’umanità ferita diventa compassione. La parola ebraica RaHaM, tradotta spesso a torto con “misericordia”, esprime il seno materno che si commuove di fronte alla debolezza del bambino.
Effettivamente, quando a Natale l’Amore si fa carne, il suo primo incontro è con la gente più povera, più emarginata del popolo. L’annuncio della nascita del Signore è rivolto ai pastori, come se fossero i principali destinatari della buona notizia dell’avvento, in un cuore umano. Non c’erano persone più disprezzate dei pastori. Vivendo nei campi, non sapevano leggere, non conoscevano quindi le Sacre Scritture. Inoltre, il contatto con gli animali li rendeva impuri, nell’impossibilità di recarsi al Tempio e di praticare la religione.
E’ facile immaginare l’accoglienza di Maria a questa gente. Il bambino fu orientato dallo sguardo colmo di tenerezza della madre verso questi poveri tra i più poveri. Sulla cera morbida della sua mente si impresse l’amore per gli ultimi. I pastori sono il simbolo dei più lontani, dei più esclusi. Anche della parte di me che rifiuto, della quale mi vergogno.
Nelle mie emozioni, nei desideri meno graditi, nell’insicurezza profonda sul senso dell’esistenza, posso lasciare che l’Amore nasca in me. “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). Non costringe ad aprire. Se lo faccio entrare, “cena” con me, ossia condivide la mia quotidianità, le amarezze e le paure, le gioie e i desideri.
EMMANUELLE MARIE